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Nuova collezione

L’importante ingresso in collezione dell’opera Madre che cuce di Mario Sironi, 1905-1906, frutto di un recente acquisto da parte del museo MAN presso una collezione privata milanese, rappresenta l’occasione per una presentazione al pubblico delle ultime acquisizioni pervenute sotto forma di acquisto, comodato o donazione. La mostra allinea le opere all’interno di un percorso che presenta, per ciascuna di esse, un approfondimento storico e tematico, una narrazione che le colloca sullo sfondo della collezione permanente spiegandone il valore e il ruolo all’interno dell’identità stessa della raccolta.

L’opera di Sironi (1885-1961), in particolare, è accompagnata da un affondo critico a cura di Elena Pontiggia, massima esperta italiana del maestro, raccolto fra le pagine di una piccola pubblicazione dossier destinata a inaugurare la nuova collana editoriale del museo, I quaderni del MAN.

«Sironi non cerca una scena intimista – scrive Pontiggia – anzi avrebbe potuto sottoscrivere il Manifesto di Saint Cloud di Munch (1899), che proclamava: “Non dipingeremo più interni […], donne che lavorano a maglia”. Certo, il suo è un interno, ma quello che gli interessa è la costruzione volumetrica: la solida figura femminile, la sedia ben piantata sul pavimento, i blocchi di colore del tavolo e dei mobili. Semmai si può avvertire un filo di malinconia nella solitudine della madre, tutta sola nel silenzio della casa. Tuttavia la scena comunica anche il suo senso di dignità e quasi la sua intima approvazione per il dovere compiuto: quella approvazione interiore che, come Thomas Mann fa dire a Johann Buddenbrook, “è la felicità più certa che si possa raggiungere sulla terra”.

La madre che cuce ha una fortuna critica relativamente recente perché Sironi, per il suo successivo rifiuto del divisionismo (condiviso da tanta critica negli anni fra le due guerre), non la espone mai in vita. La troviamo per la prima volta in una mostra solo nel 1969, otto anni dopo la sua scomparsa. Il primo a parlarne però è Costantini, amico di giovinezza e poi parente dell’artista perché ne aveva sposato la sorella Marta. Nel suo Pittura italiana contemporanea, uscito nel 1934, il critico ricorda espressamente la Madre che cuce “fra le opere di intensa colorazione”. L’aggettivo può stupire, perché l’insieme di verdi e di azzurri del quadro si può definire “intenso” per la sua raffinatezza, ma non certo non per la sua accensione. Sironi non adotta il divisionismo per accentuare gli effetti luministici della composizione, e non sfrutta il contrasto dei complementari. È vero però che, rispetto alla sua tavolozza scura degli anni Venti, La madre che cuce si distingue per una gamma cromatica ben più viva e naturalistica».

Fra gli altri protagonisti della mostra spicca poi Costantino Nivola (1911-1988), con una nuova opera Times Square, datata 1946, che si unisce a fondi già custoditi dal MAN e che approda in collezione all’indomani di un restauro significativo (a cura di Maria Albai) e che viene ora valorizzata come un unicum nella produzione del maestro, per le dimensioni monumentali della tela e per la complessità del soggetto newyorchese, che si allinea alla sua produzione più celebre, con alcune varianti degne di essere indagate.

Significativa la presenza, lungo il percorso, di un dialogo fra Maria Lai (1919-2013) e Jorge Eielson (1924-2006), in vista di una mostra futura che il MAN dedicherà il prossimo anno al rapporto fraterno instaurato nel tempo fra due grandi nomi del secondo Novecento, stretto all’epoca del soggiorno in Sardegna dell’artista peruviano. Per l’occasione entrano in collezione due libri cuciti di Maria Lai, uno distinto dalle sue famose “geografie”, e un piccolo breviario dal titolo Sono qui, concessi in comodato dagli eredi. L’archivio Eielson concede invece un grande nodo, del ciclo Amazzonia, che rimanda alla simbologia arcaica del “quipu” nell’impero Inca, il nodo come lingua, metodo di scrittura e contabilità, per misurare il tempo nei calendari, stilare censimenti.

Frutto di mostre recenti e recenti donazioni, ecco ancora opere di Edina Altara (1898-1983), Vittorio Accornero (1896-1982), Salvatore Fancello (1916-1941) e Anna Marongiu (1907-1941), oltre alle splendide fotografie dedicate alla Sardegna di Lisetta Carmi (1924-2022), accanto a figure di spicco del contemporaneo  come Martí Guixé (classe 1964), con le sue opere tessili, grandi arazzi ispirati alla tradizione e applicati a sedute di design, Christian Niccoli (classe 1976) con il video ZWEI (Due) prodotto nell’ambito dell’Italian Council, e Paolo Cavinato (classe 1975), reduce dalla mostra Sensorama dove le sue prospettive chirurgiche hanno aperto varchi in uno spazio che non c’è.

Una sezione a parte, una mostra nella mostra, è riservata all’intervento site specific di Giovanni Campus (classe 1929), il grande artista sardo, milanese d’adozione, che dipanerà negli ambienti del MAN le sue scatole euclidee fatte di composizioni in divenire nel tempo. Camminando fra le sue geometrie, si percepiscono spazi abitati da grafici irregolari, quadranti analitici, piani cartesiani dove rette e segmenti corrono paralleli e si incrociano all’infinito.

Campus orchestra linee, ritmi, perimetri, spigoli, misure, regole ed eccezioni per erigere steccati minimali, paesaggi sintetici, un dominio di segni che si inseguono sulle pareti fino a disegnare luoghi tridimensionali dentro i quali lo spettatore si muove come in un quadro astratto, in un confine liquido fra pittura e architettura.

La componente “tempo” è determinante e dà titolo al ciclo di opere Tempo in processo. Fin dagli anni Settanta, in epoca di concettualismi, l’artista ha lavorato sull’unità dell’allestimento, con tavole collegate fra loro in sequenza, dimostrando così la trasformazione degli elementi modulari – tracce fatte di corda o metallo – nell’arco di una durata prestabilita. L’effetto è completo quando pittura e scultura si integrano creando scenari avvolgenti, superfici piane proiettate nella terza dimensione. Costruire lo spazio attraverso il disegno, nel tempo della pratica e del metodo, è la ricerca che scorre in sottotraccia a tutta la riflessione del maestro fatta di rigore e lirismo. Per Campus la matematica è poesia.

Il prezioso intervento di Giovanni Campus sarà accompagnato da un dossier della nuova collana editoriale I quaderni del MAN, con un testo critico a cura di Chiara Gatti.

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